NO ALL'AUMENTO DELL'ASSEGNO PER MALATTIA, SE LA PATOLOGIA NON INCIDE SULLA CAPACITA' LAV
Non è legittimo richiedere un aumento dell'assegno divorzile per intervenuta malattia, se i fatti dimostrano incontrovertibilmente che la sindrome invocata davanti ai giudici è precedente alla separazione. Tanto più se si appura che tale malattia non è invalidante.
Lo ha stabilito la Cassazione, con l'ordinanza 23322 depositata il 5 ottobre. E così il furbesco gioco al rialzo tentato da una divorziata marchigiana si è trasformato in un boomerang: non solo le è stato negato l'aumento, ma la Suprema Corte ha confermato anche la decisione della Corte di appello di Ancona, che ha disposto una sospensione dell'assegno di mantenimento, “fintanto che la donna lavori”.
La donna si era presentata in tribunale nel 2013, rivendicando un aumento dell'assegno mensile da parte dell'ex marito, per sé e per il figlio, in virtù di una sindrome miofasciale intervenuta dopo la separazione (stando alla ricorrente, si sarebbe trattato di un aggravamento della patologia artitrica di cui aveva sempre sofferto). A riprova delle sue condizioni una copia della richiesta di invalidità presentata già prima - in realtà - dell'oologa di separazione. Proprio questo elemento ha pesato sulla decisione dei giudici.
Già la Corte di appello di Ancona, infatti - e la tesi è stata sposata in pieno dalla Cassazione - aveva rilevato l'incongruenza dei tempi e questo nonostante la donna avesse subito un ricovero molto costoso dopo la separazione.
In più - e questo ha messo la pietra tombale sul caso - è stato dimostrato che la malattia non precludesse alla donna di lavorare come impiegata comunale.
Tranchant i giudici. Durante il ricovero ospedaliero - si legge nell'ordinanza - è stata diagnosticata una predominante componente miofasciale, cosa diversa dal rilevare che la malattia sia insorta dopo la separazione. Alla difesa della donna è stato contestato anche di non aver allegato nel giudizio di merito un documento che segnalasse l'incidenza della malattia sull'attività lavorativa.
Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile.