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ARTICOLO

Con il giusto equilibrio tra presenza e remoto 25% in più di produttività

Il lavoro a distanza che l’Italia ha scoperto in massa durante la pandemia sembra avere un grande potenziale, pur essendo riservato solo ad alcune professioni. Secondo lo studio “Lavoro e studio intelligenti: la trasformazione possibile. Smart working e smart learning dopo il Covid”, realizzato da Randstad research, rielaborando anche i dati Istat, nel nostro Paese ci sono potenzialmente 6,4 milioni di smart worker “estensivi”, quasi un terzo del totale degli occupati. A questi si aggiungono 1,6 milioni di smart worker “ibridi”, che potrebbero alternare momenti di lavoro da remoto e in sede a seconda dell’esigenza.

Lo stesso vale per lo studio a distanza: potenzialmente coinvolge tutti i 900mila insegnanti e 9 milioni di studenti dalla scuola dell’infanzia all’università, a cui si aggiungono 34 milioni di lavoratori attivi che potrebbero fare formazione continua online. Smart working e smart learning sono sfide che l’Italia deve affrontare al più presto, «con la consapevolezza che il futuro del lavoro sarà necessariamente “blended” tra attività a distanza e in presenza grazie al digitale. Integrarle al meglio può aumentare la produttività del lavoro di oltre il 25%, grazie al maggior tempo dedicato ad attività a valore aggiunto e più importanza ai servizi personalizzati, migliorando nel contempo clima di lavoro e rapporti con terzi», spiega Daniele Fano, coordinatore del comitato scientifico del Randstad Research.


Analizzando le incidenze del lavoro in smart working per profilo professionale e l’impatto delle competenze sulla probabilità di lavorare da casa, secondo lo studio di Randstad research che sarà presentato venerdì, emerge che questa sarà più alta in particolare per professioni molto specializzate (91,3%), dirigenti (83,7%), tecnici (69,9%), impiegati (25,5%), operai addetti alle macchine (16,5%), operai non qualificati (12,1%), professioni dei servizi (11,5%), operai specializzati (10,5%). La normativa semplificata dello smart working introdotta nei mesi di lockdown ha permesso di ampliarne la platea, ma ha anche comportato l’allontanamento dallo spirito originario, in favore della tutela della salute pubblica. «Terminata la fase emergenziale, bisognerà valutare se necessaria una revisione della disciplina - interpreta Alessandro Ramazza, direttore del Randstad Research -. Per un riassetto organizzativo e regolatorio sarà necessario considerare innanzitutto che lo smart working prevede soprattutto un’organizzazione diversa del lavoro e una valutazione basata sui risultati, anziché tempo e presenza.


E dovrà considerare anche tematiche come il diritto alla disconnessione, la tutela della salute e della sicurezza, il diritto alla privacy e alla riservatezza, le tutele contro i rischi da isolamento dei lavoratori».


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