Lavoro smart più pesante con i figli
L’addio anche solo temporaneo al lavoro in presenza non luccica sempre. E se è cosa certa che abbia forzato la mano al mondo delle professioni (e non solo) verso la digitalizzazione, per le donne il bicchiere rischia di essere mezzo pieno. O mezzo vuoto. Secondo l’indagine di AslaWomen - la sezione dell’Associazione studi legali associati dedicata alle pari opportunità - realizzata per il Sole24Ore tra le avvocate dei grandi studi legali a vocazione internazionale, l’esperimento dello smart working, ha retto il colpo. Anche se per le professioniste-mamme la partita è stata più pesante, con una condivisione dei carichi familiari sbilanciata e una “sostenibilità” che rischia di trasformare il lavoro agile in un boomerang.
Il sondaggio
Partiamo dal primo dato. Quasi il 70 per cento delle intervistate ha dichiarato di non avere figli, mentre il 14,2% ha detto di averne uno e il 17,3% due. Questo aspetto, come vedremo, inciderà su tutte le altre risposte dell’inchiesta. E combinato con i “gradi” raggiunti nella carriera (nel grafico la 5), spalancherà dubbi su un ritorno al passato, quando le donne dovevano scegliere tra la carriera e i figli.
Il ricorso allo smart working è praticamente scontato: adottato nella maggioranza dei casi (il 61,1%) per più del 70% dei giorni lavorativi. Ma è il “come” - e cioè la domanda sulla sostenbilità del lavoro da casa con le attività di cura e quella sulla condivisione - che riporta gli antichi nodi al pettine. Qui il 64,3% del campione ha risposto di aver affrontato la conciliazione con facilità, ma in questo panel di “soddisfatte” l’81,5% non ha figli. Le cose si complicano in presenza della prole. Perché il 35% delle intervistate che ha avuto più o meno difficoltà è quello in cui si concentrano le professioniste-madri.
Note dolenti anche sul fronte della condivisione. Il tasso di suddivisione dei compiti di cura con il proprio partner coinvolge poco più della metà delle intervistate: quasi il 43% delle professioniste si è trovata a lavorare in casa, gestendo riunioni, call e tutta l’attività professionale, con il carico del lavoro familiare interamente o comunque prevalentemente sulle proprie spalle. Fa riflettere poi l’incrocio di alcuni dati: perché tra coloro che comunque si sono ritenute soddisfatte del lavoro agile, un buon 38% non ha condiviso o ha condiviso poco i carichi familiari.
Le protagoniste
«L’indagine conferma una tendenza importante - dice Barbara De Muro, partner di Lca e responsabile di AslaWomen - e cioé che lo smart working è una grande opportunità apprezzata dalla maggior parte delle professioniste e che su questo non bisogna fare passi indietro: sarà necessario piuttosto combinarlo con il lavoro in presenza». In quanto ai pesi addossati sulle spalle delle professioniste «dobbiamo considerare che in pieno lockdown le famiglie non hanno avuto i supporti ordinari, a cominciare dalle scuole - prosegue De Muro - ma è evidente che le dinamiche di sbilanciamento dei carichi ancora resistono».
Marginalizzazione (e autocritica)
L’effetto ghettizzazione potrebbe però essere dietro l’angolo. Ne è convinta Roberta Crivellaro, managing partner di Whitersworldwide Italia. «Permanentemente a casa, inutile negarlo, le donne sono ancora più distanti dai luoghi di potere, dalle stanze dei bottoni e il rischio del ghetto purtroppo c’è - prosegue -. Credo poi che l’attitudine femminile squisitamente italiana a immolarsi sull’altare della famiglia, faccia il resto. Dobbiamo imparare dalle svedesi e iniziare a delegare anche la cura dei figli, abbandonando l’inseguimento della perfezione».
L’opportunità
Resta il fatto che formule di lavoro agili rappresentano, per tutti, un’opportunità. Lo sottolinea Laura Orlando, managing partner di Herbert Smith Freehills in Italia. «Flessibilità, infrastrutture e fiducia - dice - sono gli ingredienti fondamentali per lavorare, bene, da remoto: la possibilità di autodeterminarsi, scegliendo dove e quando lavorare è una scelta che paga in termini di benessere delle donne e quindi anche in termini di produttività». Senza confondere poi piani molto diversi. «Un conto è la mera digitalizzazione - conclude - un altro è credere davvero nella flessibilità come modello di lavoro che penso faccia bene alle donne e alle mamme».
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